Steve Hackett

Intervista esclusiva!!!

Milano, 14 maggio 2003

Come già si verificò nel maggio 1999, in occasione della pubblicazione di “Darktown”, la Edel ha organizzato una visita italiana di Steve Hackett, accompagnato dal fedelissimo Billy Budis, per il giorno 14 maggio. Giunto in Lombardia la sera prima, il chitarrista si è sottoposto pazientemente a una giornata intera di interviste nella hall del lussuosissimo Hotel Principe di Savoia, nei pressi della stazione centrale. Aspetto il mio turno in piacevolissima compagnia di Paolo Leone, Sonya e il piccolo Matteo Nicolò. La mia intervista era fissata per le 11 e doveva durare un’ora. Purtroppo ci si sono messi di mezzo alcuni ritardi e anche un peraltro piacevolissimo intermezzo, quando Steve si è accorto con grande stupore (io lo avevo già visto poco prima, mentre attendevo il mio turno) della presenza di Armando Gallo, che si trovava a Milano insieme al leggendario attore americano Ernest Borgnine, per cui alla fine la mia intervista è durata solo 45 minuti. E se è vero che ho avuto il piacere di incontrare e intervistare di persona Steve spesso nell’ultimo anno, è altrettanto vero che, questa volta, c’era un disco di studio nuovo di zecca da analizzare…

 

Visitate il sito ufficiale di Steve Hackett:
www.stevehackett.com
 
 

Vi presentiamo un estratto dell'intervista esclusiva rilasciata a Mario Giammetti il 14 maggio 2003, in quel di Milano. L'intervista completa potrete leggerla sul numero 43 di Dusk:

 
 

MG: Sin dal tuo debutto come musicista solista hai sempre incluso delle canzoni un po’ bizzarre nei tuoi dischi come Carry On Up The Vicarage, Sentimental Institution, Ballad Of The Decomposing Man. Come spieghi questa necessità di includere per lo meno una canzone buffa nel tuo repertorio?
SH: Noi le chiamiamo canzoni umoristiche. Credo che The Devil Is An Englishman ha qualche aspetto umoristico. Beh, è divertente vedere un inglese crescere. C’era un tizio chiamato George Fornby… Avevo dei dischi di questo musicista. Suonava l’ukulele, faceva delle buffe canzoncine, molte di loro, nel loro stile, assomigliavano a The Ballad Of The Decomposing Man. Allo stesso modo, anni dopo, i Beatles, quando erano in vena di scherzare, facevano delle canzonette di questo tipo. Tutto Sergeant Pepper è permeato da questo umorismo, come pure White Album e Magical Mystery Tour… questi ultimi dischi se non avevano delle caratteristiche umoristiche al cento per cento lo erano per lo meno per la metà. Credo che quest’aspetto sia molto importante per gli inglesi. Alcune composizioni dei Genesis avevano anch’esse un carattere umoristico. Per niente serio. Ci piace, perché noi inglesi amiamo molto prenderci in giro.
MG: So che ci sono in programma dei concerti in autunno in Inghilterra e in Germania.
SH: Spero di suonare anche in Italia, lo spero perché questa band è davvero buona: è un gruppo formato da cinque persone. C’eri al concerto che abbiamo dato a Molfetta? E’ stato il migliore di quella tournée con due diversi componenti, ora abbiamo Rob e Terry. Ben Castle è certamente un ottimo musicista, ma ha una sua carriera musicale da curare. E lo stesso vale per il bassista che avevamo all’epoca (Phil Mulford, n.d.a.).

MG: Dunque non li hai rimpiazzati?

SH: No, erano fondamentalmente impegnati in altri progetti così ho dovuto sostituirli. Abbiamo dovuto provare per essere in grado di suonare il nuovo materiale. E’ davvero molto difficile poter suonare parte di queste nuove composizioni dal vivo. C’erano cose registrate in studio che avremmo voluto proporre dal vivo. Ci sono a volte degli aspetti frustranti: utilizzerei volentieri un’orchestra dal vivo. Vorrei suonare, per esempio, The Golden Age Of Steam, ma per farlo dal vivo mi servirebbe un’orchestra. Questo è il mio problema. Vorresti fare sempre le cose per bene ma poi ti accorgi che suonare sul palco questi pezzi non è semplice e che ci sono pure costi molto alti. Così cerco di stare molto attento quando sono in tournée. Mettiamola in questa maniera: cerco di fare dischi nei quali il sound è il più ricercato possibile, ma in tournée devo andarci piano con gli investimenti. L’ho sempre detto. Se il disco riesce a vendere sempre di più posso migliorare lo show, l’aspetto visuale ed altre cose ancora, ma in questo momento vogliamo soprattutto suonare in quanti più posti è possibile, questa è l’idea. Adesso ci teniamo lontani dall’America perché suonare lì è una maniera certa di perdere un sacco di soldi.

MG: Hai preso in considerazione l’idea di suonare una versione completa di Blood On The Rooftops? Non è stata mai suonata dal vivo dai Genesis.

SH: E’ vero, non è mai stata suonata dal vivo. Credo che l’unico vero problema per me è che mi sarebbe  impossibile suonare la chitarra e contemporaneamente cantare. Ci vorrebbe un altro chitarrista per fare questa canzone. Potrebbe essere complicato. In realtà è un’idea da prendere in considerazione perché quella è una buona canzone (non ho avuto il coraggio di suggerire a Steve di farla cantare a Gary – n.d.A…).

MG: A proposito di vecchie canzoni, Ripples è stata suonata dal vivo solo dopo che hai lasciato i Genesis. Dunque era tua la decisione di non suonare quel brano dal vivo?

SH: No, non è stato per mia decisione. Sarei stato felice di poterla suonare. Credo sia un’ottima canzone e quando l’ho sentita dal vivo ho pensato che funzionava molto bene e ho desiderato che l’avessimo suonata all’epoca in cui ero nei Genesis. E’ un pezzo valido, sia la parte della dodici corde che quella solista. Credo sia una buona melodia.

Mario Giammetti tra Steve Hackett ed Armando Gallo