Vi proponiamo uno stralcio della recensione di

Turn It On Again - The Hits

scritta da Mario Giammetti

Turn It On Again,
Invisible Touch, Mama,
Land Of Confusion,
I Can't Dance,
Follow You Follow Me,
Hold On My Heart,
Abacab,
I Know What I Like
(In Your Wardrobe)

No Son Of Mine,
Tonight Tonight Tonight,
In Too Deep, Congo,
Jesus He Knows Me,
That's All, 
Misunderstanding,
Throwing It All Away,
The Carpet Crawlers 1999.

 

 


Puntualmente annunciata, è arrivata nei negozi di tutto il mondo la prima vera antologia dei Genesis. Non perché le altre antologie pubblicate nel corso degli anni non siano ufficiali, intendiamoci; ma tutte le compilation precedenti erano state assemblate in determinati paesi soltanto, oppure dal solito Jonathan King per sfruttare fino all'esagerazione le poche incisioni dei Genesis di sua proprietà. La stessa "Turn It On Again - The Best Of Genesis '81-'83", antologia pubblicata in Europa nel 1991, era stata infatti un'idea della Vertigo, l'etichetta che aveva avuto il contratto di esclusiva per tutta l'Europa tranne l'Inghilterra per gli album dei Genesis nel biennio 1981/1983, per sfruttare la nuova ondata di popolarità del gruppo in seguito alla pubblicazione del fortunato "We Can't Dance".

Questa volta, invece, l'antologia è stata decisa dalla casa discografica e dal management, con il coinvolgimento, se pure marginale, dei membri della band.
Non è un caso, probabilmente, che il disco sia uscito proprio mentre cominciavano a diffondersi le prime voci funeste sul futuro della band; evidentemente convinti di doversi prendere una pausa, i Genesis e i loro (cattivi) consiglieri hanno pensato a questa operazione, impeccabile sul piano commerciale, assai meno su quello etico. Il disco, infatti, è stato un successo enorme in tutta Europa, a eccezione proprio dell'Italia (tanto generosa e mentalmente aperta alle novità negli anni '70 quanto ostile ed ottusa negli ultimi tempi), raggiungendo il numero 1 in classifica in Germania e Norvegia ed entrando nella top ten inglese e di molti altri paesi.
Ora, le antologie possono dividersi in varie categorie: i best of, nei quali l'artista cerca di racchiudere il meglio del suo repertorio; le compilation di b-sides e rarità varie; infine i greatest hits, ed è proprio questo il caso, nei quali l'intenzione è raccogliere i successi maggiori, così da consegnare nelle mani dell'acquirente, in un unico disco, le canzoni più famose. Da questo punto di vista, "Turn It On Again" è ineccepibile, attingendo senza pietà a quasi tutta la discografia dei Genesis da quando Phil Collins è diventato cantante, saltando solo la coppia di album del '76, che, pur avendo riscosso un buon successo, non contenevano nessun hit single. Come è noto, il primo della serie sarebbe arrivato solo nel 1978 con l'album "… And Then There Were Three…" e più precisamente col brano "Follow You, Follow Me", che naturalmente è qui presente. Da "Duke" sono tratti "Turn It On Again" e "Misunderstanding" (ignorata in Europa, ma enorme hit americano); da "Abacab" il brano omonimo, da "Genesis" "Mama" e " That's All".
Se fino a questo punto i Genesis, pur famosissimi, avevano avuto un successo ancora limitato nelle classifiche dei singoli, la tendenza cambiò con l'album "Invisible Touch", dal quale furono tratti la bellezza di cinque singoli (il pezzo omonimo, "Land Of Confusion", " In Too Deep", "Tonight Tonight Tonight" e "Throwing It All Away") e, incredibilmente, tutti e cinque entrarono nella top ten americana. Quasi altrettanto fu in grado di fare "We Can't Dance", da cui troviamo qui infatti quattro canzoni ("No Son Of Mine", "I Can't Dance", "Hold On My Heart" e "Jesus He Knows Me").
Fin qui l'era Collins, di cui vi sono effettivamente tutti i brani più famosi (ovviamente questo non vuol dire che siano i più belli, anzi…). All'era Wilson è riservata la sola "Congo", che peraltro non è stato certo un grande hit, mentre all'era Gabriel appartiene "I Know What I Like", prima canzone dei Genesis in grado di entrare nella classifica dei singoli inglesi (seppure con un non esaltante ventunesimo posto).
Resta "The Carpet Crawlers", che è poi anche l'unico motivo per cui, almeno qui in Italia, la gente ha comprato il disco. Pubblicata originariamente su un singolo che fu praticamente ignorato nel 1975 (il primo singolo da "The Lamb" fu infatti "Counting Out Time"), questa canzone è stata, come è stranoto ai lettori di Dusk, registrata in una nuova versione nel corso degli ultimi quattro o cinque anni.
Inizialmente prevista per un singolo che avrebbe dovuto precedere la pubblicazione del cofanetto "Archive 1967/75", questa canzone, chiaramente non terminata in tempo (mica in questo c'entrerà qualcosa Gabriel?) sembrava poi destinata a completare il secondo boxed set, quando i discografici hanno avuto una illuminazione: perché non metterla in un bel greatest hits, costringendo i fedelissimi ad un ennesimo acquisto?
E già, perché se qualcuno si aspettava delle altre versioni alternative (che so, un pezzo dal vivo, un remix interessante…) o addirittura degli altri inediti (vabbè, lo ammetto che era veramente un'utopia sperare di trovarci "Silver Song" di Phillips, che oltretutto non è mai uscita e quindi come poteva diventare un hit?) sarà rimasto estremamente deluso: i cinque minuti di "Carpet Crawlers" sono l'unica novità di un album, altrimenti, rigorosamente edito. A meno che non ci si voglia intrippare con le versioni accorciate, e cioè "Turn It On Again" (che passa da 3'55 a 3'48"), "Mama" (da 6'46" a 5'18"), "Abacab" (da 7'02" a 4'12"), "No Son Of Mine" (da 6'39" a 5'44"), "Tonight Tonight Tonight" (da 8'51" a 4'28": quasi la metà!) e "Congo" (da 4'51" a 4'02"), oppure sulle minime differenze di sound (dubito che si sia intervenuti sui missaggi).
Su questa nuova versione di "Carpet Crawlers" ho sentito molti pareri, quasi tutti positivi quando non entusiasti. Personalmente, invece, la trovo deludente; è una versione diversa, per fortuna, ma più in fase di arrangiamento che nella struttura (anche se è stata privata di una strofa). E fra l'altro l'arrangiamento ha semplificato ulteriormente quella che era già una delle canzoni più semplici in assoluto del vecchio repertorio dei Genesis: con la sparizione dell'intreccio di piano e chitarre che caratterizzava tutto il pezzo originale, il pezzo è suonato in maniera fin troppo rilassata. Il lavoro di Tony, in particolare, è relegato in sottofondo ma si capisce che non è stato davvero impegnativo; la batteria vera subentra a metà canzone, ma il suo suono si confonde con quello delle programmazioni; il basso di Mike non si riesce nemmeno a sentire, mentre è probabilmente sua anche la chitarra ritmica elettrica; Steve fa qualche bella cosa all'inizio ma poi sparisce completamente dal mix (infatti il chitarrista è alquanto incazzato con il missaggio finale…).
Quanto alle voci, nulla da eccepire: sia Peter che Phil hanno cantato in maniera stupenda. Dirò di più: l'ingresso della voce di Peter, subito dopo quel suono esplosivo iniziale e sulla base di una tastiera, è un momento veramente emozionante (l'unico), mentre Phil si preoccupa di cambiare, se non altro, l'impostazione delle sue armonie vocali. Gabriel canta l'introduzione e le prime due strofe, Phil canta invece la terza, quella in cui la voce deve raggiungere delle tonalità più alte (la quarta, come detto, è stata eliminata, e probabilmente il motivo sta proprio nelle difficoltà di esecuzione che avrebbe incontrato Peter). A fine canzone, entrambi i lead singer si lasciano andare in vocalizzi interessanti e inediti.
Ma ciò che rende deludente, almeno per me, questa versione, sono due cose: prima di tutto la produzione di Trevor Horn, a dir poco pessima. Beninteso, non mi dispiacciono le programmazioni, espediente imprescindibile della musica moderna. A patto, però, che siano fatte con gusto. Qui, se c'è una cosa che manca, è proprio il buon gusto. Una ritmica così ossessiva può andare bene su molti tipi di canzoni (incluse alcune degli stessi Genesis), ma non su "Carpet Crawlers", dove ottiene l'unico effetto di storpiare l'atmosfera. Non contento di aver rovinato la canzone, Horn ha operato su sette studi diversi (tre dei quali rappresentano i rispettivi studi di Tony/Mike, Peter e Steve: Fisher Lane Farm, Real World e Crown Studios) e chiamato anche un trio di programmatori e di tastieristi aggiunti (chissà cosa ne pensa Tony…), tali Andy Richards, Garry Hughes e Jamie Muhoberac, i quali hanno fatto del loro peggio per contribuire al disastro.
Il secondo motivo per cui non mi piace questa versione è la mancanza assoluta di spirito di gruppo. In realtà gli unici che hanno lavorato insieme, ma è da dimostrare, sono Tony e Mike. Tutti gli altri non si sono neanche mai incontrati. Peter ha registrato la sua voce chissà quanti anni fa, e ha cantato la canzone interamente. Phil ha messo le seconde voci anni fa; poi, meno di un anno fa, è stato riconvocato per cantare la terza strofa. Ma, come Phil stesso ammette, lui e Peter non si sono mai nemmeno incontrati. Steve ha lavorato per conto suo cercando di dare del suo meglio, ma Trevor Horn ha selezionato solo una minima parte del suo lavoro. Quando esprimevo a Enrico Geretto queste mie perplessità, lui mi chiedeva se l'avrei pensata allo stesso modo se non avessi saputo che il gruppo ha registrato in tante piccole unità separate. Anche se non mi è possibile rispondere con certezza, non essendo possibile la controprova, sinceramente mi sembra che questa mancanza di coesione sia abbastanza percepibile anche ad un ascolto meno attento. Anche se la melodia ci è familiare, e le due voci sono inconfondibili, non c'è molto dei Genesis di ogni epoca in questa incisione. È stata lasciata carta bianca a un produttore esterno (cosa che non accadeva da "Nursery Cryme" del 1971!), e poteva anche essere una buona idea se questi fosse stato all'altezza; ma le ragioni vanno anche oltre, e probabilmente il produttore esterno è stato accettato dai cinque semplicemente perché nessuno aveva il tempo, né tantomeno la voglia, di starci dietro.
E allora, a questo punto, il discorso si fa più ampio: a che pro?
Certo, se lasciamo prevalere la nostra parte sentimentale, rischiamo di commuoverci al solo pensiero che Peter abbia ricantato questa canzone dopo tanti anni (ma in fondo era successa la stessa cosa per il cofanetto); se, viceversa, spingiamo la ragione ad emergere, dobbiamo constatare amaramente che a nessuno dei cinque importava un tubo di questa cosa, che hanno accettato di farla per soldi o, più semplicemente, cedendo alle pressioni dei discografici.
Ma che c'entra, tutto questo, con la musica?
Per chiudere, qualche annotazione sulla confezione. Nonostante la gaffe delle tre sagome in copertina, raffiguranti Tony, Mike e Phil (come dire a chiare lettere a quale periodo si riferisce il titolo), il design, con personaggi e simboli grafici rubati a tutte le copertine dei dischi da cui sono tratte le canzoni, è impeccabile, ma l'interno è deludente per la mancanza di note accurate, di foto o di un qualsivoglia elemento di interesse. Non è così che si fa una compilation, partisse anche da un presupposto esclusivamente commerciale! Il povero appassionato che spende 40.000 lire per una sola canzone inedita avrà almeno diritto a qualcosa in più sul piano delle memorabilia?